Dopo due secoli di dominio, con la morte di Gian Gastone (1737) si estingue la dinastia dei Medici. Il successore, Francesco Stefano di Lorena, dimostra scarso interesse per il Granducato, che governa da Vienna attraverso un Consiglio di Reggenza. La necessità di riformare ogni aspetto dell’amministrazione e della vita pubblica toscane, in un crescente stato di degrado, distoglie dall’immaginare operazioni urbanistiche di grande respiro. Nel periodo della Reggenza (1737-1765) le iniziative promosse nell’ambito cittadino risultano pertanto trascurabili, soprattutto se paragonate alle azioni intraprese per il riordino dello Stato, incentrate sul risanamento dell’economia e delle finanze pubbliche, oltre che sulla riorganizzazione dell’apparato amministrativo granducale. La situazione non muta con il successore di Francesco Stefano, il figlio Pietro Leopoldo (1765-1790), molto più attento alle riforme istituzionali che ai progetti di miglioramento urbano.
Gli interventi urbani di questo periodo si limitano a episodi isolati, a operazioni che riconvertono a nuove funzioni edifici e complessi architettonici esistenti, all’interno di un contesto urbano consolidato. Tra gli esempi, la sistemazione dell’Accademia di Belle Arti nel soppresso spedale di S. Matteo; la nuova sede dell’Opificio delle Pietre Dure; i teatri costruiti all’interno di tessuti edilizi già consolidati.
Vengono anche incrementate le aree verdi ad uso pubblico. Fuori porta S. Gallo Pietro Leopoldo tra il 1767 e il 1768 fa realizzare il Parterre, un vasto giardino pubblico “alla francese” con viali di ghiaia e filari di olmi. Si istituiscono anche altri passeggi pubblici piantumati lungo la parte esterna delle mura, e si apre al pubblico il giardino di Boboli.
Nel 1785, inoltre, Pietro Leopoldo dispone la soppressione di tutte le confraternite laicali del Granducato. Spesso di antica origine, le confraternite costituivano un complesso di istituzioni devozionali che univano alle finalità religiose importanti funzioni assistenziali. Le loro sedi, disseminate nella città – a Firenze nel 1783 se ne contano più di 150 – materializzano il sistema di protezione spirituale e sociale dei ceti meno abbienti, che Pietro Leopoldo smantella a favore della rete delle parrocchie, alle quali sono trasferiti gli oneri dell’assistenza ma anche i patrimoni delle compagnie soppresse.
Nonostante un certo aumento della popolazione, durante il regno dei primi due granduchi lorenesi Firenze si mantiene tutta all’interno della cerchia muraria trecentesca. Sono assenti borghi esterni alle porte, oppure si limitano a pochi edifici, lontano ricordo degli agglomerati esistenti fino all’epoca dell’assedio del 1529-30. Dentro le mura, la condizione urbana generale non è molto dissimile da quella in cui l’aveva lasciata il fondatore del Granducato, Cosimo I. La struttura urbana e gli spazi cittadini rimangono sostanzialmente invariati, e anche l’estensione e l’assetto del tessuto edilizio sono molto vicini a quelli raggiunti nel Cinquecento. Si conserva inoltre quasi intatta la cintura di orti e giardini interposta tra il nucleo urbano e il giro di fortificazioni.
Inizia invece a mutare l’assetto dell’edilizia residenziale. Fino alla metà del Settecento le case fiorentine sono costituite in genere costituite da edifici stretti e allungati, sviluppati su due o al massimo tre piani fuori terra – le cosiddette case a schiera – che contengono una o due unità residenziali. Nella seconda metà del secolo si assiste a una crescente tendenza ad accorpare due o più case a schiera, in modo da formare edifici con due o più appartamenti per ogni piano, serviti da un’unica scala comune. La trasformazione delle case a schiera monofamiliari in case in linea plurifamiliari si accompagna in genere a sopraelevazioni e alla riconfigurazione delle facciate, dove le semplici finestre ad arco vengono sistematicamente sostituite da aperture rettangolari con cornici più o meno elaborate.