Lo spostamento della capitale a Roma, nel 1871, lascia Firenze in una grave situazione debitoria e con molti progetti incompiuti. Nonostante una iniziale diminuzione dovuta al trasferimento della burocrazia statale, la popolazione continua a crescere anche nelle zone più centrali, favorendo il processo di saturazione delle aree interne ai lotti e la sopraelevazione degli edifici. Il risanamento di Mercato Vecchio, che ha come conseguenza l’espulsione della maggior parte degli abitanti della zona, aggrava la densità edilizia di altri quartieri popolari, come S. Croce e S. Frediano.
L’industrializzazione della città, considerevole negli anni precedenti la prima guerra mondiale, consolida i quartieri previsti dal piano Poggi e apre la strada verso ulteriori ampliamenti. Le nuove fabbriche si collocano in modo disomogeneo, dove esiste disponibilità di terreni e di infrastrutture. Il baricentro industriale della città si sposta dunque dalla zona del Pignone, fuori porta S. Frediano, dove dalla metà dell’Ottocento esisteva l’officina del gas, alla fascia a nord della città. Gli scali ferroviari di Campo di Marte, di Porta al Prato e soprattutto quello di Ponte a Rifredi divengono infatti poli di attrazione per i nuovi opifici, orientando di conseguenza lo sviluppo urbano della città.
La crescente domanda di alloggi popolari rende impellente la necessità di realizzare nuovi quartieri, che sorgono in prossimità dei nuovi insediamenti industriali. Il loro tessuto minuto, costituito da elementari case a schiera su due piani, caratterizza ancora oggi diverse zone della città, come S. Jacopino, Rifredi, Ricorboli. Si continua anche l’esperienza dei grandi caseggiati operai, adesso costruiti dall’Istituto autonomo case popolari: a partire dal 1909 si realizzano i blocchi di via Rubieri, via Bronzino, via Erbosa e via Circondaria. Nei quartieri meno periferici la classe medio-borghese adotta invece le tipologie del villino a schiera e della casa per appartamenti su più piani.
Il Comune cerca di governare questo rapido sviluppo affidando nel 1915 all’ingegnere Giovanni Bellincioni la redazione di un piano di ampliamento, approvato nel 1924. Il piano si limita a impostare una rete viaria che invade i terreni pianeggianti attorno alla città, arrestandosi ai piedi delle colline e prefigurando il futuro sviluppo di Firenze verso ovest. In base alle previsioni del piano verranno costruiti, negli anni tra le due guerre, i nuovi quartieri del Romito-Vittoria, di Gavinana, del Campo di Marte. Bellincioni accoglie anche la previsione della nuova cittadella ospedaliera di Careggi, in costruzione dal 1912.
Il piano non riguarda le zone già edificate, alcune delle quali però sono oggetto più tardi di interventi particolari. Tra gli interventi più significativi quelli per il quartiere di S. Croce, dove nel 1936 vengono demoliti alcuni isolati per decongestionare il tessuto edilizio, realizzando la piazza dei Ciompi e alcune strade adiacenti. Viene portato a termine anche il programma di demolizioni a S. Frediano, iniziato già alla fine dell’Ottocento, con il quale viene formata tra l’altro piazza Tasso.
Nei decenni tra le due guerre si collocano anche alcuni interventi di sostituzione urbana all’interno del centro antico. Uno riguarda la costruzione della Biblioteca Nazionale (1911-1935), realizzata a spese del convento di S. Croce; un altro la nuova stazione ferroviaria di S. Maria Novella (1932-1934), che sostituisce la Maria Antonia. Con il nuovo complesso si riconfigura completamente anche la piazza antistante, e si distrugge tutto l’antico tessuto urbano lungo via Valfonda. Interventi più circoscritti riguardano l’apertura di una serie di strade nelle zone meno dense del centro – tra cui via delle Mantellate, via Rucellai, via Finiguerra – per permettere l’edificazione delle ultime aree libere, oppure l’abbattimento di piccole porzioni di tessuto urbano per valorizzare qualche edificio monumentale, come accade nel caso del complesso di S. Lorenzo.